Qualche giorno fa ho letto un articolo veramente bello di Alessandro Piperno, “La droga dello scrittore”, pubblicato nella rubrica Il club de La lettura del Corriere della sera. Articolo che consiglio a tutti gli autori.
Piperno affronta una storica diatriba che ha visto noti scrittori schierarsi in due “correnti di pensiero” opposte: per dare vita ad un buon libro è necessaria l’ispirazione o basta un duro e costante lavoro sul proprio testo? Ma soprattutto: cos’è l’ispirazione?
Scrive Piperno: «Non saprei esprimere, infatti, cosa significa essere ispirati, e tuttavia riconosco l’ispirazione a prima vista quando la incontro in un libro. In un romanzo ispirato avverti subito l’intensità della concentrazione e l’esattezza del dettaglio. I romanzi ispirati sono pieni di entusiasmo, anche se di primo acchito possono sembrare tristi. La voce di un romanzo ispirato, per quanto grave e forbita, è intima come quella di un amico del cuore». E qualche riga dopo: «Ahimè, non inventi l’originalità. Ne sei portatore sano. È il solo requisito che distingue il mestierante dall’artista ispirato».
Ho sperimentato di persona la dicotomia ispirazione/duro lavoro nei primi anni della mia attività di scrittura. Il primo romanzo che ho scritto, così di getto, e che non e mai stato pubblicato, una volta terminato non mi convinceva per nulla. Così ho deciso di documentarmi, studiare manuali di scrittura, capire come costruire una storia e acquisire i metodi migliori per farlo. Diligentemente mi sono creato uno schema di lavoro assai articolato e l’ho seguito con impegno, duro lavoro, abnegazione. Mi sono trovato in mano un testo tecnicamente ottimo ma che non mi diceva nulla: freddo, senza emozioni.
E allora, pazientemente, ho rincorso una bella idea per un nuovo libro e ho nuovamente ripreso a scrivere: stavolta seguivo l’ispirazione ma, avendo acquisito un metodo di lavoro, lo facevo in modo costruttivo. E quando ho messo la parola “fine” a Freccia ho capito che finalmente avevo in mano un buon romanzo. Non ero però ancora arrivato al capolinea. Perché il romanzo – per diventare ciò che è ora – è passato attraverso un lungo e impegnativo editing. Quindi ancora duro lavoro.
A chi oggi mi chiede cosa è stato più importante nella creazione di Freccia, rispondo che dietro il libro c’è impegno, volontà, costanza, ma senza l’ispirazione non avrei ottenuto una storia “viva, pulsante”, che – come hanno commentato i lettori – cattura e coinvolge il lettore e lo fa proseguire fino all’ultima pagina.
Nabokov sosteneva che l’arte – e quindi anche la scrittura – deve possedere «l’entusiasmo della scienza e la pazienza della poesia».
Ebbene, per me la scrittura è questo: innamorarsi di un’idea, immaginarci attorno una storia, e poi rimboccarsi le maniche per riuscire a trasformarla in un buon libro.